Carta d’Identità
Trentanni, di Rimini ma bolognese ormai da tanti anni, Francesco ha studiato all’Alma Mater Studiorum laurendosi in Ingegneria Informatica, qualificandosi da subito come sviluppatore. Non ha lasciato le due Torri neanche per lavorare, una condizione che gli ha permesso di partecipare all’Hackathon insieme all’amico Manuel. Dal nostro fotografo Federico sono stati soprannominati i Velini: uno moro e l’altro biondo, il loro è stato l’unico gruppo (il numero tre) ad essere formato solo da due elementi.
S: Francesco, come sei venuto a conoscenza dell’Hackathon?
F: Uno dei ragazzi di Epoca mi ha contattato spiegandomi il progetto e chiedendomi se ero interessato a prenderne parte. Credo di essere stato uno dei primi ad essere coinvolto, quando ancora la cosa non era diventata così grande. L’iniziativa mi ha allettato da subito: ho cercato di portare anche dei miei colleghi, ma la timidezza li ha bloccati. Io invece, ci credevo e sono venuto da solo.
S: Tu e Manuel siete la “coppia” del gruppo 3, “Network fra i campi”: vi conoscevate già? E perché questo bisogno?
F: La storia del nostro progetto è piuttosto buffa. Per farla breve, quando sono stati assegnati i progetti né io né Manuel eravamo presenti. Si è trattato di un attimo, probabilmente eravamo in bagno o a berci un caffè. Quando siamo tornati, era rimasto scoperto “Network fra i campi” e diciamo che non abbiamo avuto scelta. Ma alla fine il progetto ci è piaciuto e abbiamo creato un’applicazione davvero semplice, che permetta di mettere in rete gli eventi che vengono organizzati nei diversi campi. Il nostro obiettivo era creare uno strumento semplicissimo, in modo che chiunque potesse usarlo senza problema. Avevamo pensato a Facebook, ma poi anche quello era troppo dispersivo. La soluzione è stata utilizzare WordPress, organizzando gli eventi per città o attività.
S: La vostra applicazione è già funzionante?
F: In realtà non proprio, ci siamo fermati nello sviluppo. Ma credo che in un paio di pomeriggio potremmo tranquillamente concludere l’applicazione.
S: Cosa ne pensi della due giorni?
F: Un’iniziativa davvero molto interessante, sotto molti punti di vista. Non conoscevo la maggior parte delle persone che hanno partecipato. Anche con Manuel è stato strano: siamo amici ma non abbiamo mai lavorato insieme e ci siamo trovati li quasi per caso. Sinceramente non sapevo cosa sarebbe uscito fuori dal nostro lavoro. Alla fine il risultato ci soddisfa, anche se ancora non è pienamente funzionante. Penso che in generale l’evento sia andato molto bene: non è facile integrarsi con altre persone, che sono abituate a lavorare in modo diverso dal tuo. Credo che se ci fossero stati gruppi formati da persone abituate a lavorare insieme si sarebbe prodotto molto di più. Ma forse è stato anche il bello dell’Hackathon: aver messo insieme tante professionalità diverse.
S: Cosa deve fare adesso il movimento per non morire?
F: Chiaramente incontrare i diretti interessati, chi queste applicazioni li può usare per agevolare il processo di ricostruzione e di ripartenza. È il momento di vedere sul campo se il fine per cui sono state create corrisponde alle reali necessità. Anche perché solo gli “utilizzatori” possono valutare il lavoro fatto ed eventualmente dare consigli e suggerimenti per pensare a cose differenti. Noi abbiamo fatto un primo passo, ora bisogna coinvolgere anche enti e istituzioni. Magari tra qualche mese si potrebbe lanciare anche un nuovo Hackathon, dove creare nuovi progetti o migliorare quelli esistenti. Insomma, si può fare molto, tutto dipende da noi.
S: E se ti chiedessi la prima cosa che ti viene in mente della due giorni? A cosa pensi?
F: Penso alla mattina della domenica, ore 10.00. Io e Manuel siamo tornati allo Shape per continuare il nostro lavoro. Eravamo a pezzi, nonostante una lunga nottata di sonno. Arriviamo e vediamo i ragazzi di Metwit (gruppo 7, nrd), freschi come rose, nonostante aver fatto “after” continuando a lavorare per tutta la notte. Li ho davvero stimati un sacco.